Il Consiglio regionale del Veneto ha approvato, nei giorni scorsi, con 33 voti favorevoli, 4 contrari e 2 astenuti il progetto di legge n. 294 di modifica della l. reg. n. 50/1993 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”, relatore d’aula il presidente della Terza commissione permanente dell’assemblea legislativa e primo firmatario della proposta, Marco Andreoli (Lega-LV), correlatore: il sottoscritto. Respinta, non senza momenti di tensione in aula, l’ampia manovra emendativa presentata assieme ai colleghi di minoranza.
Questo il mio intervento in aula:
Ringrazio e sono lieto di fare il correlatore per questo progetto di legge, perché intanto è la prima legge che seguo, una legge che non mi mette in difficoltà, perché io molto chiaramente – penso che tutto il Consiglio regionale lo sappia – sono un cittadino prima di tutto e un esponente politico dopo che è contrario alla caccia, per cui sapete benissimo che è stato per me molto interessante seguire l’iter di questa legge, che riguarda, tra l’altro, la discussione di un regolamento, di sanzioni, di come gestire i capanni. Per me è stato interessante in quanto ho avuto la possibilità di capire i retroscena di questa legge. Nello stesso tempo, c’è stata la possibilità di approfondire l’argomento, che tra l’altro – non so se i ragazzi siano ancora qua, no, se ne sono già andati – è un argomento che sicuramente non li riguarda, perché è un argomento che un po’ alla volta, il tema della caccia, io mi auguro anche in Italia sia in una fase di estinzione, perché è un fenomeno che un po’ alla volta sta andando in diminuzione rispetto ai numeri, alle percentuali. Diminuiscono i cacciatori e aumenta l’età media dei cacciatori. Per cui, questi sono dei dati che sono interessanti dal mio punto di vista, perché questo approccio, questo modo di concepire la caccia è per me anacronistico.
Al di là del fatto che sulla caccia posso avere un’idea che può essere legata all’andamento e all’evoluzione dei tempi, ma all’evoluzione dell’uomo stessa, per cui la ritengo una cosa anacronistica, il fatto di discutere sul tema dei capanni è stata per me una cosa interessante per cominciare a entrare all’interno anche della normativa, della legge regionale e della legge nazionale vigenti. Nello stesso tempo, per me è stata un’evoluzione anche personale per passare da un’idea prettamente ideologica, cioè il fatto di essere una persona che contrasta la caccia come passatempo, come gesto, per me completamente dannoso anche per l’ambiente, ma non è questo il luogo per poter approfondire queste mie dichiarazioni, ma nello stesso tempo è stata un’occasione molto concreta per vederla e avere un approccio diverso su questo.
Come correlatore, pertanto, ho preparato un discorso che vuole riassumere anche la mia vicenda personale e politica rispetto all’occasione di una legge che per me è prettamente assurda per il fatto che ci sono i capanni in sé, che è come se io avessi partecipato ad una discussione in cui un gruppo di persone mi avesse detto: “Ma vuoi che ti diamo una sberla nella guancia destra o nella guancia sinistra”, ma io vorrei non ricevere la sberla, come vorrei che un giorno in queste aree verdi, in queste aree naturali in cui le persone possono andare liberamente con i propri cari a fare attività fisica, a meditare o a fare altro, non ci fossero i capanni.
Ecco, questo è il mio messaggio, la mia sintesi, però voglio spiegarvela bene.
Gentili colleghe e colleghi, vorrei poter affermare che questo progetto di legge servirà semplicemente a garantire certezza del diritto e che si tratta di un intervento legislativo nato dall’esigenza di rimediare a norme oscure, a lacune normative, a difficoltà applicative; potrebbe darsi, anche se purtroppo lo stato dell’arte non mi consente un ragionamento così piano e semplice e sicuramente mi mette nelle condizioni di dubitare.
Colleghe e colleghi, è noto che questo progetto di legge è stato sollecitato dal mondo della caccia, a fronte della contestazione di alcune violazioni che aderiscono alle attività riguardanti la preparazione degli appostamenti. Il dato di contesto, che ritengo vada adeguatamente valorizzato per inquadrare il tema, lo possiamo trarre rispondendo a questa semplice domanda: cosa fanno i cacciatori e alcune loro associazioni per risolvere, per le vie ordinarie, contestazioni e sanzioni che ritengono non corrette? Resistono in giudizio? No, la risposta è che si preferisce fare la voce grossa e andare dal legislatore chiedendo una legge che di fatto inserisce ex novo delle cause di giustificazione a sanare, non rendendole più antigiuridiche, violazioni anche di natura penale, già contestate ma evidentemente non ancora erogate in via definitiva.
Ma non fa solo questo. Il mondo venatorio chiede e ottiene un incontro con i Consiglieri di maggioranza al di fuori della Commissione Terza, dunque senza i Consiglieri di minoranza. Questo lo avevo fatto presente in Commissione: tutto legittimo, ma certamente opinabile, specie se su quel progetto di legge non si dispongono le audizioni delle associazioni a tutela dell’ambiente, pure richieste in Terza Commissione. Infatti, si poteva sentirle e sentire anche un parere da parte loro. Invece questo mi è stato rifiutato.
Non conosciamo nemmeno il parere del Consiglio delle Autonomie locali, sebbene intervenga in questioni che attengono alle funzioni di vigilanza degli Enti. Insomma, un testo blindato dalle voci che potevano provenire da realtà diverse dal mondo venatorio, e portatrici di interessi altri. Su questo mi si risponderà nuovamente che il CAL non è attualmente operativo.
A questo replico con un’altra domanda: ma fino a quando, quanti altri provvedimenti vogliamo approvare senza il contributo del Consiglio delle Autonomie locali? Insomma, abbiamo un regolatore che si fa pienamente e consapevolmente, direi di buon grado, catturare dal regolato.
I cacciatori non hanno più bisogno di minacciare la marcia su Venezia per ottenere di piegare la realtà alle esigenze della caccia. È la Regione che va incontro alle loro richieste, con un testo blindato e tagliato su misura, tanto che questa volta l’onorevole Berlato – che penso sia presente – è semplicemente venuto a portare i suoi saluti dall’altra sponda, salutando insoddisfatto gli inquilini di Palazzo Ferro-Fini dalla chiesa della Madonna della Salute: chissà, avrebbe voluto di più rispetto a quanto è già stato concesso al mondo che egli rappresenta.
Vedete, colleghe e colleghi, con le eccezioni ovviamente esistenti, in Veneto il mondo della caccia ha quasi sempre avuto un certo potere. Qualche esempio aiuterà a comprendere a cosa mi riferisco. A quella parte di mondo che nel corso degli anni è stata capace di far inserire nella legge regionale 50 del 93 alcuni istituti palesemente vessatori, come l’articolo 35-bis del 2017, che introduceva la fattispecie di illecito denominata “disturbo all’esercizio dell’attività venatoria e molestie agli esercenti l’attività venatoria”, un tentativo espresso, chiaro, inequivoco, di reprimere le manifestazioni di dissenso anche di chi si trovava le doppiette sull’uscio di casa, cose assurde.
Questa disposizione di legge poi è stata fortunatamente dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale sul ricorso del Governo, ma nel frattempo abbiamo fatto vedere al mondo cosa è in grado di fare un certo modo mondo venatorio, e il messaggio fu lanciato, "qui comandiamo noi, il territorio è nostro".
Mi riferisco a quella porzione di mondo venatorio che nel 2012 introdusse nell’ordinamento regionale il comma 3-bis dell’articolo 20-bis, poi fortunatamente dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale, e che esentava gli appostamenti per la caccia al colombaccio dall’autorizzazione paesaggistica. Anche qui, il messaggio era chiaro e sempre lo stesso: "il territorio è nostro, non della collettività".
Mi riferisco poi, per quel che concerne il territorio nazionale, dunque anche veneto, a quel mondo che sostanzialmente vorrebbe sparare a tutto, senza limiti o limitazioni di spazio, tempo, ragionevolezza, esigenze di salvaguardia delle specie e dell’ambiente, a quel mondo rappresentato da legislatori nazionali (mi riferisco all’onorevole Bruzzone della Lega) che tenta modifiche della legge n. 157/1992, inserendovi pratiche vietate dalla Direttiva comunitaria Uccelli, quali l’allungamento della stagione venatoria oltre i limiti consentiti, mettendo così a rischio gli uccelli migratori, che già da gennaio sono impegnati nel viaggio verso i luoghi di riproduzione, proprio quegli uccelli che, tra l’altro, sono più difficili da studiare, da monitorare, non quelli stanziali, ma quelli migratori, che tra l’altro passano anche vicino ai capanni.
La creazione di istituti regionali sulla caccia, al fine di sostituire i pareri dell’ISPRA e permettere il varo di calendari venatori ancora più favorevoli ai cacciatori, la caccia sette giorni su sette, con l’abolizione delle giornate di silenzio venatorie (neanche martedì e venerdì possono stare tranquilli, sette giorni su sette), i calendari emanati con legge per bypassare i ricorsi al TAR, e in Veneto abbiamo un recente esempio della censurabilità di queste idee e pratiche con la sentenza n.148/2023 della Corte Costituzionale, l’esclusione dalla tutela della legge n. 157 degli uccelli da richiamo e infine il mantenimento della licenza di porto di fucile per chi pratica il bracconaggio in periodi vietati.
Infine, per concludere con l’elenco degli esempi, mi riferisco a quel mondo che probabilmente oggi sta politicamente ostacolando l’approntamento da parte della Giunta regionale del Codice etico per la disciplina dell’esercizio dell’attività venatoria, introdotto nel 2022 dall’articolo 35-ter della legge regionale n. 50 del 1993.
Sono trascorsi due anni pieni dall’introduzione di questo istituto, che dovrebbe promuovere forme di autodisciplina nell’esercizio delle attività, raccogliendo regole deontologiche consolidate nella tradizione venatoria, secondo i princìpi della sostenibilità ambientale, del rispetto della fauna selvatica e della sicurezza dell’utilizzo delle armi, così concorrendo a promuovere nella comunità regionale l’esercizio venatorio come attività compatibile con la conservazione della fauna selvatica e la produzione agricola”.
In queste righe leggo così tante contraddizioni in essere che veramente sono sconvolto. Ma non vi è ancora traccia di tutto questo. Assessore Corazzari, su questo gradirei avere una sua risposta, anche solo un cenno, se le va. O forse il codice etico è già stato definito, ma non è stata data comunicazione alla competente Commissione consiliare? Io non ho traccia di tutto questo.
Faccio, peraltro, presente che il comma 1-ter dell’articolo 39-bis della legge n. 50/1993 subordina l’accesso ai contributi per le azioni contro il bracconaggio al formale recepimento del codice etico da parte delle associazioni venatorie richiedenti e la sua diffusione ai propri associati.
Colleghe e colleghi, concludo. Ero fortemente tentato di fare resistenza passiva, ma ormai con il DDL n. 1660 alle porte anche questa forma di lotta democratica e di disobbedienza civile di insistere per la verità – la Satyagraha: conoscete la non violenza, la resistenza passiva di Gandhi – è e sarà oggetto di criminalizzazione. Mi domando come possiate permettere una cosa del genere. Come saranno oggetto di criminalizzazione, attraverso norme palesemente incostituzionali, l’arresto di donne incinte, la cannabis legale, la protesta nelle carceri e tante altre cose. A fronte di quello che sta accadendo a livello di Governo, con i tentativi di forzare l’acquisizione e i princìpi elementari del diritto della democrazia, la Regione del Veneto ha l’ansia di tenersi buoni i cacciatori.
Colleghe e colleghi, francamente non avrei nemmeno voluto presentare emendamenti, perché non mi convincono i presupposti e le esigenze da cui prende avvio questa legge. Non mi convince innanzitutto la sua stessa tenuta costituzionale. So per certo che i miei emendamenti saranno rigettati, ma volevo comunque lasciare un’ulteriore testimonianza della mia contrarietà a questo progetto di legge e anche il rispetto nei confronti delle associazioni che non sono state audite, ma che mi hanno mandato molti stimoli e molte riflessioni. Ancora una volta dimostra che ci avvicineremmo a un nucleo di inscalfibile verità ove affermassimo che in Veneto cittadini e regolatore sono essi stesse prede, prede di chi pensa di vivere nel Paleolitico e si ostina a voler uccidere per esprimere o soddisfare non si sa quale esigenza di sussistenza e di bisogno vitale. In un mondo che già martirizza e tortura gli animali per produrre in eccesso per noi occidentali cibo a buon mercato, i cacciatori sentono il bisogno di sparare.
È su questo la mia idea di caccia, perché la caccia può essere giustificabile quando uno deve farla per sopravvivere, per far fronte ad emergenze o a situazioni emergenziali, ma nel Veneto di oggi come è possibile giustificare il fatto di prendere un fucile, con le mille scuse di fare movimento, di stare in compagnia, di vivere la natura, di godersi i tramonti, di poter addirittura tutelare il paesaggio e i boschi e le colline? Ci troviamo a un’impellente necessità incontrollabile di premere il grilletto per sparare a un cinghiale, a un cervo, a un daino, a un gallo cedrone, a una pernice bianca o a un uccello migratore.
Tutto questo mentre il mondo cambia alla velocità della luce, mentre l’ambiente ci crolla addosso, anche se per alcuni, come il presidente Zaia, che non vediamo qui in aula purtroppo, come sempre, a difendere un provvedimento della sua maggioranza, la responsabilità di questi mutamenti è di nutrie, tassi, istrici e volpi, che stanno distruggendo il patrimonio idraulico del Veneto. All’elenco di Zaia mancano solo i castori, che in Veneto non abbiamo e poi quelli fanno le dighe, ma questo è un altro discorso che qui in Consiglio regionale non si può fare. Grazie.
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